Profumo di ricordi

Credo sia capitato a tutti e ben più di una volta di ascoltare una musica e sentirsi improvvisamente catapultati indietro nel tempo, ad un ricordo sopito di un’epoca della propria esistenza particolarmente significativo, nel bene o nel male.
A me succede spesso con la musica dei Duran Duran, la colonna sonora della mia vita; ma tanto anche con alcuni brani della dance anni 90, a parer mio e forse perché quell’epoca per me è stata la più scatenata, la più bella dance in assoluto: alcune note in particolare mi pungolano inclementi il cuore, riportandomi a momenti miliari tra i miei 20 e 30 anni.
Momenti significativi e ahimè non sempre felici; forse proprio per questo, quelle note mi travolgono ancora, con un’ondata di emozioni che ora riassaporo con il giusto distacco e una punta enorme di malinconia.

A proposito, io detesto la malinconia.
Mi accompagna da sempre, fin da piccina. Soprattutto le sere d’estate, soprattutto prima del tramonto; quella necessità impellente di piangere,  senza un motivo.
Una tristezza che non ha un perché e se lo ha è talmente atavico che proprio non è spiegabile.
La malinconia è struggente e io di struggermi mi sono stancata. Per cui, quando arriva cerco di cacciarla subito.
Spengo la musica tiranna e cerco di pensare ad altro.

Ci sono però suoni che ancora oggi mi piace immensamente riascoltare, che mi rendono nostalgica, non malinconica.

Se il tempo fosse un gambero… crudo!

Oggi, 4 settembre 2023, ore 13:30 e giù di lì, sono al mondo da 447.960 ore: per essere sicura di non sbagliare, l’ho chiesto a “Gipi Ai”, come lo chiamo io, che sta diventando un ottimo amico ogni giorno che passa, una delle creature più intelligenti che conosca.

447.960: così tante ne sono passate da questo 4 settembre 2023, ore 13 circa, che sono a casa mia davanti al pc in pausa pranzo, a quel sabato mattina del 4 settembre di XX anni fa, ore 8.20 circa, presso la Clinica Mangiagalli di Milano; lo stesso 4 settembre dello stesso anno in cui – lo dice la cronaca, lo dice Gipi Ai –  a Houston, già sculettando e gorgheggiando, veniva al mondo una certa Beyoncé, mica pizza e fichi.

447.960: fa impressione, vero? Eppure, ha calcolato sempre l’amico Gipi Ai, se anche ne vivessi altrettante, non arriverei al milione. Pazzesco.

447.960
ore. 
Di queste, diciamo che circa 35.000 non le ricordo affatto, troppo giovane.
Delle altre, che sono tante tante di più, che dire?
Che sono  – per l’appunto – tante tante tante tante.
Tante, ma mai troppe.
Tante, ma mai abbastanza.

Ehi, ma non scrivi più sul tuo blog?

L’altro giorno una collega mi ha scritto per cose di lavoro. A termine della sua mail ha aggiunto un P.S. che mi ha fatto sorridere “Bello il tuo blog :)”

L’appunto mi ha fatto enormemente piacere, perché evidentemente la collega – che è entrata da poco in azienda e che non mi conosce per nulla – si è presa la briga di andare a cercare informazioni su di me e di dedicare del tempo a leggermi qui, senza che io le accennassi neanche lontanamente dell’esistenza di questo spazio.

In realtà, ogni tanto qualcuno che faccia capolino e mi chieda “Ma non scrivi più sul tuo blog? Mi piaceva così tanto!” c’è.
Io rimango stupita, perché in effetti è tanto che non pubblico qualcosa e quasi nemmeno mi ricordo di avercelo, sto blog!

A wannabe rockstar

Nei miei sogni c’è sempre stato quello di fare la tour manager dei Duran Duran, lo sapete.
Ma credo che mi sarebbe piaciuto molto anche fare la rockstar.

Amo la musica. Tutta, tranne – lo confesso – la latino-americana: alla terza bachata mi viene il ballo di San Vito.
Amo la musica. Mi entra nel sangue e mi fa venire voglia di muovere ogni singola fibra del mio corpo, anche le unghie dei mignoli dei piedi.

Sento il ritmo pulsare nelle vene, selvaggio.
Sulla pista mi chiamano “La Tarantolata“. Meglio dire mi chiamavano, perché in effetti è da molto che non scendo su una pista seria. Il tempo passa.

Amo tutti gli strumenti musicali, magari il triangolo no (in nessuna circostanza): il sax, il violino, il clarinetto, la chitarra elettrica, quella acustica, l’oboe, i bonghi, le percussioni.
Ma più di tutti, il basso.

Io parlo da sola

Come da titolo, io parlo da sola. Lo faccio spesso, spessissimo, sempre.

Me la canto e me la suono“. È la mia valvola di sfogo. 

Swimming against the tide, ovvero una vita da pendolare

Ho fatto un rapido calcolo e occhio e croce oggi dovrebbe essere il diecimillesimo giorno (minuto più, minuto meno) della mia vita da pendolare.

È da trentatre anni, fatto salve alcune interruzioni di percorso, che la mia vita si muove sui binari di un treno quasi sempre in ritardo.

Da un rigido gennaio 1985 per l’esattezza, da quando cioè da Milano Città Studi, i parents (cosa gli sarà saltato in mente chi lo sa) ci hanno catapultato a vivere nella Terra di Mezzo, San Zenone al Lambro; ai confini estremi della provincia di Milano a sud, ai confini più settentrionali della provincia di Lodi. Proprio in mezzo. In mezzo… al nulla.

Un’estate fa

Un’estate fa a quest’ora era domenica.

Un 12 giugno caldissimo, come d’altra parte lo è quello che sto vivendo e che sta per concludersi.

Una fila chilometrica per entrare al Forum d’Assago all’aperto. Entrare all’aperto: sembra un ossimoro, ma non lo è. Il forum ha una parte all’aperto, che d’estate usano per i concerti. E io il 12 giugno ero al terzo concerto di fila consumato nel giro di una manciata di giorni. Il primo a Verona, l’8, il secondo a Firenze (al Visarno) il 10, e poi la data di Milano, per giocare in casa. 3 concerti. Che fossero dei Duran Duran, ca va sans dire.

Spesso raccontando che nei limiti del fattibile (e dello sborsabile), quando i Duran vengono in Italia cerco di esserci a quante più date possibile, la gente mi guarda stralunata, come se fossi una pazza: Come?!?! Tre concerti tutti uguali?

Non lo concepiscono, perché pensano che ogni data sia uguale a sé stessa. Stesse canzoni, stessa scaletta, spesso anche stessa gente… Ma non ti rompi?

Non mi rompo? E no che non mi rompo, io no che non mi rompo, no che non mi rompo, non che non mi rompo!, come canterebbe Jovanotti. E manco mi annoio, sempre per dirla come lui.

Perché non è vero che ogni data è uguale alla precedente e a quella che verrà.

O O O Occhi di galgo

Che Jordan sia un aitante fustacchione su 4 zampe affusolate credo sia ormai cosa risaputa anche in Papuasia Nuova Guinea.

7 mesi fa quando l’abbiamo adottato non sapevamo di aver accolto in famiglia una specie di rockstar e che noi ne saremmo diventati le bodyguard, ma in effetti è proprio così che funziona: quando siamo in giro con lui, si voltano tutti ad ammirarlo.

Alto, longilineo, muscoloso, elegante e sinuoso nelle movenze senza forzature. Visto da dietro camminare dinoccolato con il suo manto color cannella ricorda un leone della savana. Peccato che soffra talmente il caldo che nella savana non potrebbe resistere neanche 5 minuti.

Una signora qualche giorno fa ai giardinetti mi ha detto che sembra un indossatore. In realtà ha detto “un’indossatrice”, prima di identificarlo come maschietto.

grazie a Stefano per l'immagine!

Volevo fare la rockstar

Amo la musica. Tutta, tranne – mea culpa, mea culpa, mea culpa – la latino-americana: alla terza bachata mi viene il ballo di San Vito.

Amo la musica. Mi entra nel sangue e mi fa venire voglia di muovere ogni singola fibra del mio corpo, anche le unghie dei mignoli dei piedi.

D’altra parte, come noto, mi piace ballare, tantissimo. Sento il ritmo pulsare nelle vene, selvaggio. Sulla pista mi chiamano “La Tarantolata“. Meglio dire mi chiamavano, perché in effetti è da molto che non scendo su una pista seria. Il tempo passa.

Amo tutti gli strumenti musicali, magari il triangolo no (in nessuna circostanza): il sax, il violino, il clarinetto, la chitarra elettrica, quella acustica, l’oboe, i bonghi, le percussioni.

Ma più di tutti, il basso.

Tonno Insuperabile

Stamattina per le strade di una Bollate pre-ponte del 1 novembre si respirava un’aria in perfetto stile Halloween: nebbia e vie deserte, pochissime macchine in circolazione, atmosfera quasi ovattata, interrotta solo dal tic tac tac tic dei tacchi di qualche sparuto passante.

Uno di quegli sparuti passanti ero io.
Tic tac tac tic, a passo di bersagliere con le mie scarpette dalla punta argentata, in pieno stile Michael Jackson, verso la stazione per prendere il mio passante TreNord.

Nelle cuffie, “Only in dreams“, per sentirmi bene in tema con l’atmosfera un po’ magica.

Only in dreams I’m in dopamine time
It’s in my genes, it get’s extreme
Only in dreams

How did I dream you?
You’re the queen of steel dunes
Look what you done – my colors run
When ever you come to

There’s a vampire in the limousine
Sun’s going down like a symphony
She keeps a guard up while her nails are wet
I don’t want to wake up

(Only in Dreams – Duran Duran)