Credo sia capitato a tutti e ben più di una volta di ascoltare una musica e sentirsi improvvisamente catapultati indietro nel tempo, ad un ricordo sopito di un’epoca della propria esistenza particolarmente significativo, nel bene o nel male.
A me succede spesso con la musica dei Duran Duran, la colonna sonora della mia vita; ma tanto anche con alcuni brani della dance anni 90, a parer mio e forse perché quell’epoca per me è stata la più scatenata, la più bella dance in assoluto: alcune note in particolare mi pungolano inclementi il cuore, riportandomi a momenti miliari tra i miei 20 e 30 anni.
Momenti significativi e ahimè non sempre felici; forse proprio per questo, quelle note mi travolgono ancora, con un’ondata di emozioni che ora riassaporo con il giusto distacco e una punta enorme di malinconia.
A proposito, io detesto la malinconia.
Mi accompagna da sempre, fin da piccina. Soprattutto le sere d’estate, soprattutto prima del tramonto; quella necessità impellente di piangere, senza un motivo.
Una tristezza che non ha un perché e se lo ha è talmente atavico che proprio non è spiegabile.
La malinconia è struggente e io di struggermi mi sono stancata. Per cui, quando arriva cerco di cacciarla subito.
Spengo la musica tiranna e cerco di pensare ad altro.
Ci sono però suoni che ancora oggi mi piace immensamente riascoltare, che mi rendono nostalgica, non malinconica.
Succede per esempio quando sento i passerotti o gli uccellini salutare il sorgere del sole e l’inizio di una nuova giornata al mattino presto, tra le fronde degli alberi.
Mi ricordano l’infanzia e la prima giovinezza, quando dormivamo a casa della nonna Mary, a Milano, e al mattino d’estate venivamo svegliati proprio da quel cinguettare che arrivava dagli alberi del cortile.
L’appartamento della nonna era al primo piano e i rami erano proprio lì, a qualche metro dalle nostre finestre, e la melodia arrivava dolce e chiara nella stanza da letto. Per me, poesia.
Tutt’ora, quando mi capita di essere meno presa dalla frenesia delle giornate e più attenta a ciò che mi circonda, sento quel suono e il cuore si rallegra.
Un altro cinguettio che mi ricorda le lunghe giornate d’estate trascorse dalla nonna Mary prima di partire per le vacanze è quello che segnava la sigla del mezzogiorno alla radio del Gazzettino Padano.
Mi metteva allegria e ancora oggi, quelle rarissime volte che mi capita di intercettarla, all’improvviso mi ritrovo nella cucina enorme della nonna, in via Battistotti Sassi, ad aspettare l’ora di mettersi a tavola, magari davanti ad una scodella di “minestra al latte“, che – attenzione! – nulla ha a che fare con il riso al latte che si mangia qui nel milanese.
La minestra al latte che faceva la nonna Mary e che io ho imparato a fare anche se non così buona, è una ricetta della zona di Biella. Prevede, oltre al riso e al latte, acqua, porri e patate. Era squisita e io ne mangiavo piatti e piatti: quanto mi piacerebbe potermene fare preparare una badilata dalle mani della nonna.
La nonna Mary non era, diciamolo, un fenomeno dei fornelli. Non le piaceva cucinare, ma si impegnava per noi.
Quando azzeccava il piatto, poi ce lo proponeva in “piani quinquennali”, come nei regimi sovietici (che lei per altro detestava).
Le riuscivano bene poche ricette, ma quelle poche, erano super. Quella che ricordo forse con più nostalgia è proprio la minestra al latte.
Ne ricordo la cremosità e il delizioso profumo con una certa acquolina, ma soprattutto con grande tenerezza.
Un ricordo caro ed indelebile della nonna. Della sua sagacia, del buon gusto per il vestire, del fondotinta troppo scuro che amava mettersi in volto per darsi un’aria più glamour.
Delle litigate che facevamo, io che ero la sua “basilisca“.
Ho parlato di profumo, perché in effetti per me il potere del profumo, degli odori in generale, è forse ancor più forte rispetto alla musica per far riaffiorare ricordi lontani.
Certi profumi, certi odori sono la vera “madeleine“.
Mi capita a volte quando entro nel palazzo dove da quattordici anni viviamo e mentre aspetto l’ascensore al pian terreno da qualche appartamento arriva un profumo di cibo in preparazione.
Come per magia, torno in Via Pietro da Cortona al 5, a Milano, dove siamo nati e cresciuti e dove ne abbiamo passate tante. E sento il profumo della pizzaiola che si preparava in qualche casa, forse anche la nostra. O di carciofi. Ci sono profumi che immediatamente associ all’infanzia. Quello della pizzaiola su per le scale per me è proprio un viaggio indietro nel tempo.
Lo è anche, fortissimo, il profumo che mi viene incontro e mi abbraccia ogni volta che varco la soglia della casa in cui abbiamo trascorso innumerevoli estati, io e mio fratello, la casa di Cepagatti, vicino a Pescara: appena finita la scuola, i nostri genitori ci portavano “giù” dalla nonna Iolanda, la nonna paterna, a fare le vacanze.
Noi, bambini di città piuttosto timidi, impacciati e remissivi per 9 mesi all’anno, in quei tre mesi diventavamo dei piccoli Orzowei, ribelli e impegnati ogni giorno in mille avventure con i nostri amici e vicini di casa, Danilo e Gianni. Ore e ore persi nelle campagne, con le fionde fatte a mano, a cercare tesori da “rubare” come more e pannocchie.
Arrivavamo bianchicci e timidini, tornavamo a Milano abbronzati, tonificati e meno remissivi.
Ecco, quando quella volta o due all’anno riesco a tornare a Cepagatti a trovare i miei in villeggiatura, appena si apre il portone, uno di quelli ancora di una volta con tanto di battente, è subito infanzia: la nonna Iolanda che ci aspetta in cima alla scalinata dei sedici gradini e ci abbraccia contenta di rivederci; noi che subito corriamo ad affacciarci sul bancone “di dietro”, per far sentire agli amici che siamo tornati; il profumo e il sapore di filetto di manzo cotto alla piastra; i succhi di frutta fatti in casa dalla nonna che bevevamo al posto della frutta; la nonna che ogni volta che ne combinavamo una (ogni giorno, sistematicamente) e la facevamo disperare, scuoteva la testa.
Quel profumo su per le scale è inconfondibile, lo riconoscerei tra milioni. Mi arriva alle narici e lo scrigno dei ricordi si apre all’improvviso.
Le risate, le avventure nelle campagne a rubare uva e more, le litigate con i compagni di gioco, i mercatini inventati al momento, le ginocchia sbucciate, i libri dei compiti della vacanze che mai facevamo, la mamma e papà che ci raggiungono per le ferie e portarci al mare.
Poi arrivava il momento di fare le bottiglie di pomodoro per l’inverno. Quello era il segno che tutto stava per finire ed era ora di tornare ad essere due bambini milanesi timidi e remissivi.
Suoni e profumi. Ricordi e nostalgia. Profumo di ricordi.
Come eravamo. Come siamo. Come siamo diventati grandi.
And you sway in the moon
The way you did
When you were younger
When we told everybody
All you need is now
Stay with the music let it
Play a little longer longer
You don’t need anybody
All you need is now
(All you need is now – Duran Duran)
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