Che Jordan sia un aitante fustacchione su 4 zampe affusolate credo sia ormai cosa risaputa anche in Papuasia Nuova Guinea.
7 mesi fa quando l’abbiamo adottato non sapevamo di aver accolto in famiglia una specie di rockstar e che noi ne saremmo diventati le bodyguard, ma in effetti è proprio così che funziona: quando siamo in giro con lui, si voltano tutti ad ammirarlo.
Alto, longilineo, muscoloso, elegante e sinuoso nelle movenze senza forzature. Visto da dietro camminare dinoccolato con il suo manto color cannella ricorda un leone della savana. Peccato che soffra talmente il caldo che nella savana non potrebbe resistere neanche 5 minuti.
Una signora qualche giorno fa ai giardinetti mi ha detto che sembra un indossatore. In realtà ha detto “un’indossatrice”, prima di identificarlo come maschietto.
Poco tempo fa siamo stati a Cepagatti, paese in provincia di Pescara, dove mio padre è nato e cresciuto e dove mio fratello ed io abbiamo trascorso tante estati in stile Orzowei.
Jordan è venuto con noi (lo portiamo ovunque, nei limiti del possibile) e in quella zona i galgo non sono così diffusi, se ne vedono pochi. Impossibile quindi passare inosservati, sia dagli umani, adulti e bimbi, che dagli altri cagnolini e cagnoloni della zona, che hanno avvertito la presenza di un nuovo simile (ma diverso) e se la sono comunicata seduta stante a suon di guaiti, ululati e vivaci abbaiate.
È un gran figo, che tutte le cagnoline e cagnolone del circondario fa innamorar (ne conosco almeno un paio che quando lo vedono vanno in brodo di giuggiole; lui francamente se ne infischia, non le degna di uno sguardo); ma è anche un giovanotto spagnolo che tutti i maschi del quartiere fa ringhiar. Lui francamente anche di loro, come delle suddette cagnoline, se ne infischia, o al contrario, s’incazza e attacca a ringhiare pure lui. Robe da maschi.
Statuario e simpatico. Testone e tenerone. Atletico e pigrone.
E poi, beh, e poi ci sono quegli occhi.
Occhi di galgo.
“Truccati” da una spessa linea di eyeliner a donargli quel tocco vagamente esotico, quasi egizio, quegli occhi dicono tutto.
Morbidi e languidi, sono due pozzi senza fondo di tenerezza infinita e amore incondizionato, velati da un’ombra di malinconia atavica, che non sai spiegarti. Forse un retaggio del suo passato (e il passato dei galgo è davvero terribile, nella maggior parte dei casi…), forse il timore di essere abbandonato, forse la paura… di non trovare cibo nella ciotola.
Dicono che gli occhi siano lo specchio dell’anima. Ne sono convinta e so quindi che Jordan ha un animo puro.
Occhi decorati da sopracciglia che si alzano e abbassano con aria interrogativa quando tenta di capire cosa la “mamy” stia cercando di comunicargli con “quella” voce stridula, come parlasse ad un bambino di 2 anni (ma non è che il papy sia molto diverso, eh! Anzi, su di lui “quella” voce fa ancora più specie)
“Joooooordannnnn, amore, vieni qui. Vieni qui dai. E vieni, cavolooooo!”;
“Chi è l’amore della mamy? Chi è, eh? Jordanoooooooneeeeee, ecco chi è”;
“Buona la pappa? Adesso la mamy ti dà anche la meluccia che ti piace tanto”
“Com’è andata oggi, hai fatto il bravo con la zia Giusy?” (ndr. la “zia Giusy” è la signora che ogni giorno si occupa con grande attenzione del nostro topolone, quando noi siamo al lavoro. Menomale che c’è!)
“Ma che bella caccona! Bravo!” (giuro che non avrei mai pensato di ritrovarmi a parlare così con grande entusiasmo di questi argomenti)
Lui ti guarda e il muso lungo assume la forma di un punto di domanda. Penserà che sono una pirlona con la voce da rimbambita, ma se anche lo pensa non me lo fa notare; anzi, mi guarda come fossi la Madonna, adorante.
Quegli occhi si trasformano rapidamente in due mari infiniti e burrascosi, quando si può scatenare in una corsa liberatoria. Due sgroppate giusto per prendere la rincorsa e poi eccolo lì, che prende il volo. Si libra nell’aria e vi rimane sospeso. Un figlio del vento, un ghepardo vestito da galgo. Occhi che si riempiono di distanze siderali, imperscrutabili, quando si adagia sull’erba come una sfinge a fissare un orizzonte immaginario, tutto suo, a cui a noi umani non è dato di accedere; acuti come due spilli, curiosi, vispi e furbi se intuisce che sta per arrivare un premietto. Solleva le orecchie a compasso, rizza la coda lunghissima e aspetta. A volte passando la lingua da una parte all’altra del muso, come nei cartoni animati.
Che poi è la stessa reazione che ha quando vede una lepre.
Sì, perché a Bollate, mai saputo prima, siamo pieni di lepri. Dirò di più, è un “lepraio” a cielo aperto; non bastasse, siamo anche pieni di gatti.
Lepri e gatti ogni sera si danno appuntamento nei campi circostanti e aspettano giusto appunto che Jordan e la sua mamy arrivino per la passeggiata notturna per scatenarsi.
Inutile fargli cambiare percorso, a Jordan. Se anche ci provo, lui si impunta e ti fissa con quegli occhi da cane bastonato “Mamy, dai, ti prego, portami a cercare le lepri”.
E a te dispiace. Ti dispiace due volte; una per lui, perché ti fa male tarpargli le ali, l’altra per le piccole lepri, che accidenti accidentaccio, balzano come delle molle – boing boing boing – e sono tenerissime (credo anche al forno) e ti dispiacerebbe se gli succedesse qualcosa.
Perché potrebbe senz’altro succedergli qualcosa, se Jordanone le riuscisse a prendere. Ma non ci riesce, perché noi lo tratteniamo (con grande rischio per le nostre cervicali, che in questi ultimi tempi di colpi di frusta ne hanno presi peggio che fossimo dei leoni addomesticati al circo). E allora lui piange, si dimena, abbaia, abbaia, abbaia. Fino a quando non ha più voce. E ti guarda disperato, come per dire “Ma perché? Perché non mi lasci andare?“. Ha ragione, cavolo, ma come faccio?!
Che poi, almeno le lepri, poverette, come ci vedono scappano via balzellon balzelloni. I gatti invece no.
I gatti sono fetentissimi di natura e appena ci vedono ci guardano con quello sguardo affilato. Allarmati ma mica poi tanto, accennano ad una rapida fuga, si arrestano di botto. E poi o si gonfiano come palle pensando di farci paura (a me in realtà la fanno, a Jordan no, e anzi gli fanno venire ancor di più l’acquolina in bocca, se possibile), oppure ci guardano indifferenti e sbeffeggianti. Manca tanto così che ci facciano un bel pernacchione, mentre si lucidano gli artigli. E Jordan? Jordan urla, si impenna, abbai, piange e poi ti guarda con un certo sconforto, senza capacitarsi del perché gli si stia impedendo di farsi giustizia.
Meglio, molto meglio d’inverno: lepri in letargo, gatti a sonnecchiare davanti al caminetto, Jordanone con il suo cappotto che lo fa sembrare un lord, che tutto ha, tranne che voglia di vagare per i campi. Anzi, con lo sguardo da cane bastonato, ti guarda e ti dice “Mamy, cazzarola, portami a casa che ho un freddo cane e voglio il biscotto!”
Come vuoi tu, occhi d’angelo. Ogni tuo scodinzolamento è un ordine.
Eyes like an angel
So wise, don’t lie
You never felt like this before
Fly like an angel
So high this time
You send your senses streaming free(Like an angel – Duran Duran)
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