Avrò avuto 12 anni, seconda media. Maggio. Giardino lussureggiante dell’Istituto Maria Immacolata,  profumo voluttuoso di rose nell’aria.
Ora di educazione fisica, atletica leggera, prove di velocità e mezzofondo su ghiaia.
Batteria dopo batteria risultò che ero la più veloce, ma anche la più resistente: decisero di farmi gareggiare all’Arena di Milano – qualcosa di simile ai Giochi della Gioventù, credo – per il mezzofondo, che alla velocità ci avrebbero mandato Alessandra, anche lei veloce, ma non quanto me; d’altra parte, due gare non potevo sostenerle.

Quella mattina sono arrivata all’Arena senza essermi allenata prima come si richiede ad un vero atleta, perché i miei lavoravano e non avevano tempo di portarmi al parco a correre.

Ai blocchi di partenza: 3, 2, 1.. pam!
Stomp, stomp, stomp, il battito brioso del mio cuore si fonde con il rumore delle scarpe da ginnastica che battono la pista. Il respiro concitato ma fiducioso, l’emozione, il pubblico che grida, la ragazza sull’altro campo che intanto salta in alto.

Stomp, stomp, stomp. Due giri completi e ora mancano tre curve al traguardo. Dietro di me il vuoto, davanti a me una treccia che ciondola su due gambe lunghe lunghe, gambe di atleta consumata. Stessa età, io le arrivo all’ombelico e sembro la figlia.

Stomp, stomp, stomp. Il tonfo affaticato del mio cuore sovrasta quello delle scarpe da ginnastica e del pubblico che urla.

Ho tenuto la seconda posizione fino alla terzultima curva dell’ultimo giro di pista.
Poi ho voluto strafare, complice l’inesperienza tecnica.
Posso farcela, posso superarla, posso arrivare prima. Posso.
Invece posso solo stramazzare al suolo.

Il buio è calato improvvisamente, vedo blu per il calo di zuccheri e il debito di ossigeno.
Come un treno senza freni deraglio contro il materassone a bordo curva, messo lì a mo’ di guardrail. Mi schianto.
Game over!, fine della corsa e dei miei sogni di gloria.

Non ci ho più riprovato, chissà perché.
La professoressa di ginnastica – che però quel giorno non era lì a fare il tifo per noi, avrà avuto i suoi motivi – ci era rimasta male, sia per il fallimento in pista, sia per il mio gettare la spugna.
A dispetto di quell’ingenuità tecnica che mi aveva portato letteralmente fuori pista, diceva, ero forte. Forse se avessi continuato, chi lo sa.

Però ci ho pensato a questa cosa, che mi hanno fatto fare il mezzofondo e non la velocità, sebbene a scuola fossi letteralmente la più veloce. Era un po’ un segno del destino.
Probabilmente sono una mezzofondista di natura. Lo sono sempre stata e forse lo sarò sempre e per sempre, in quasi tutti gli aspetti della mia vita.

Qualcuno, io per prima, lo potrebbe scambiare per l’atteggiamento di chi rimanda sempre lo sprint finale. In parte è così. Io sono una procrastinatrice seriale. Ricordate? L’avevo scritto anche qui.
Come dice la mia dolce metà che oramai mi conosce da 20 anni “prima di fare una cosa, oh! Fai passare secoli!”
Ahimè, devo dargli ragione. Di solito sono le mogli ad avere sempre ragione, ma in questo caso (solo in questo!?) la ragione ce l’ha lui.

Sono sempre stata così e credo sia un imprinting di famiglia: i miei genitori non sono da meno.
Quando per esempio dichiarano al telefono che “martedì partiamo” per andare a Cepagatti o per tornare da Cepagatti a San Zenone al Lambro, a seconda delle stagioni, non saprai mai a quale martedì, di che mese e di che anno si stiano riferendo. E passano settimane.

Io magari sulle partenze programmate sono più precisa, ma sugli altri aspetti della mia vita meno.

Prima di fare una cosa, ci penso, rimugino, sto per decidermi, mi fermo, rimando, ci ripenso.
Probabile si tratti di insicurezza. Probabile si tratti di pigrizia. Chi lo sa.

So che sono un diesel, ci impiego tanto a carburare.
Soprattutto la mattina. I colleghi lo sanno: prima di una certa ora è come se non esistessi. A dire il vero io comincio a stare “bene bene” alle 5 del pomeriggio, quando la maggior parte delle persone sta per staccare la spina. Io in quel momento non mi fermerei più, sono al top. Peccato che sia ora di andare a casa.
Anche quando studiavo. Per rendere bene, dovevo mettermi sui libri o “all’alba-alba” o dalle 18 in poi. Prima, era un po’ una causa persa.

Impiego tanto a venire fuori, spesso avrei voglia di rifugiarmi nella mia tana e non avere rotture di balle.
Chi me lo fa fare?

Poi però si accende quella lucina.
Un click improvviso, una spinta che fino a quel momento era rimasta sopita e parto.
Un passo alla volta, piano piano. Un po’ più veloce. Ancora un po’ di più. Ora velocissimo e via!
Stomp, stomp, stomp.
La pista è mia.
Speriamo che alla terzultima curva ci sia ancora il materassone a salvarmi.

Stomp, stomp, stomp.
Non mi fermo più.

 

Grazie come sempre agli amici di Puzzle per la bellissima illustrazione di copertina.

 

You’ve done it all, you’ve broken every code
And pulled the rebel to the floor
You spoilt the game, no matter what you say
For only metal – what a bore!
Blue eyes, blue eyes; how can you tell so many lies?

Come up and see me, make me smile
Or do what you want, runnin’ wild

(Make me smile – Duran Duran)